martedì 28 ottobre 2025

Per una wilderness selvaggia e profonda

  Wild Nahani

Per una Wilderness selvaggia e profonda




"C'è una sola speranza di respingere l'ambizione tirannica della civiltà di conquistare ogni luogo sulla terra. Questa speranza è l'organizzazione delle persone più sensibili ai valori dello spirito, affinché combattano per la libera continuità della natura selvaggia" (Robert Marshall)

"Come i venti e i tramonti, la vita selvaggia era considerata sicura finché il cosiddetto progresso non ha iniziato a portarla via. Ora ci troviamo di fronte al problema se uno standard di vita ancora più elevato valga il suo spaventoso costo in tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio" (A. Leopold)

"La battaglia per la conservazione della natura continuerà indefinitamente, perché fa parte della battaglia universale tra il bene e il male" (J. Muir)

"La natura deve essere rispettata e salvaguardata per il suo valore in sé. È l'uomo che deve adattarsi ai propri bisogni e non viceversa. Se possibile, dobbiamo garantire che il mondo selvaggio viva nella sua libera continuità e nel suo orgoglio, che la libertà e quell'orgoglio che l'uomo, prigioniero e schiavo delle proprie convenzioni, forse inconsciamente invidia"

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In questo documento vogliamo mettere in luce la parte più profonda del Concetto di Wilderness, ovvero il valore in sé che riconosce agli elementi della natura. Emendiamo quindi gli aspetti di ecologia di superficie, intrisi di antropocentrismo, a cui molto spesso approdano i vari movimenti wilderness (tra cui quello italiano). Scrive infatti Franco Zunino, praticamente il "padre" italiano di questo movimento, con un pensiero tipicamente "occidentale": "Secondo me non possiamo ignorare l'uomo. Che ci piaccia o no, l'uomo è al centro del mondo e non sarà mai possibile evitarlo. E poiché siamo uomini dotati di coscienza e intelligenza, è inevitabile che qualsiasi cosa facciamo, la facciamo sempre per l'uomo. Quindi la conservazione della natura non è altro che una reazione a quella parte dell'uomo che la sta distruggendo. Ma anche chi la vuole difendere vuole sempre farlo per gli uomini. È quasi pleonastico dire che essa va preservata in sé e che così facendo sarà comunque utile all'uomo, perché in realtà, per chi la ama, lo facciamo, che sia per scopi materiali, scientifici o spirituali. E poi non cerchiamo di negare una realtà che magari non ci piace ma che è tale, nell'illusione di una natura che vive di sé (ma che certamente non si apprezza!). Se non ci fosse l'uomo, la natura stessa non avrebbe senso. Sono contento di sapere che la natura di L'isola di Papua esiste di per sé, ma è di per sé un'esperienza appagante e appagante per l'uomo. Quindi è sempre per l'uomo che desideriamo la conservazione di luoghi che non vedremo mai nella nostra vita, ma che finché viviamo siamo lieti di sapere che esistono. È un concetto difficile da spiegare, ma alla fine l'uomo ritorna sempre. Altrimenti, prima di opporci alla distruzione della natura di questo nostro pianeta dovremmo farlo per impedire all'uomo di scoprirne altre, che certamente esistono e vivono di per sé. Ma ha senso pensarlo? Potremo mai accontentarci dell'idea di un mondo naturale che vive di per sé ma che non sappiamo nemmeno se esiste?! Non credo. Per accontentarci dobbiamo sapere che esiste, e nel momento in cui sappiamo che esiste, ecco che l'uomo torna al centro, a quell'ombelico che l'ecologia profonda negherebbe”. Lo stesso Zunino, in un altro passo del suo pensiero, sembra sconfitti da soli, quando afferma: “la tutela di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molte finalità, ma credo che uno solo debba essere lo scopo per cui si dovrebbe attuare: preservare il territorio come fine a se stesso”. E poi ancora: “…. Chi sente il desiderio di un rapporto diverso con l’ambiente, più legato a bisogni interiori di bellezza e solitudine, di riflessione, di godimento della bellezza, dei momenti della vita e dell’evoluzione della natura, più facilmente comprenderà la necessità di un maggiore rispetto, comprenderà che i diritti della natura, devono avere il primo posto e che l’uomo deve frequentarla sempre pronto a tirarsi indietro non appena diventino evidenti i segni del cambiamento che la sua presenza provoca, che vanno dal degrado ambientale al disturbo della fauna, alla perdita di certi stati di pace e solitudine (che sono un diritto della fauna prima che nostro); pronto quindi anche a rinunciare alla natura quando è il caso”.


Proseguendo con Dalla Casa, risponde a Zunino dicendo: "Sono rimasto piuttosto sorpreso nello scoprire che la filosofia della wilderness, secondo la visione di Zunino, è completamente antropocentrica.

Le aree wilderness sarebbero preservate in uno stato completamente naturale, ma per la rigenerazione spirituale dell'uomo e non per un valore in sé o per la loro intrinseca spiritualità. In sostanza, la filosofia della wilderness si adatta ai principi dell'ecologia di superficie e al pensiero corrente, salvo il fatto (encomiabile) di chiedere una gestione completamente diversa delle aree naturali-selvagge protette, che tuttavia rimangono isole in un mare di "progresso"". L'unica cosa davvero insostenibile è che l'ecologia profonda sarebbe "materialista" e la filosofia della wilderness avrebbe invece aspetti più "spirituali". Infatti:

- la filosofia della wilderness, come esposta da Zunino, vede la parte spirituale-psichico-mentale solo nell'uomo: le aree selvagge devono essere preservate, ma per il miglioramento spirituale dell'uomo;

- l'ecologia profonda vede un aspetto profondamente mentale-psichico-spirituale in tutte le entità naturali e nelle loro relazioni. Vede la nostra specie come una componente interrelata in queste relazioni e quindi anche dotata di profondo valore spirituale in quanto parte inscindibile di questa Natura, di questa Anima del mondo.

Come si fa a dire che l'ecologia profonda è più "materialista" della filosofia della wilderness? A me sembra esattamente il contrario. Nella filosofia della wilderness lo spirito è prerogativa di una singola specie, nell'ecologia profonda è ovunque.

Inoltre, a mio avviso, il concetto di "primitivo" è privo di significato. Mi sembra invece che Zunino segua sostanzialmente le idee correnti che portano l'attuale civiltà industriale al vertice del cosiddetto "progresso": al massimo ne chiede qualche correzione. Capisco che consideri il "cristianesimo", chiaramente inteso come l'attuale tradizione ebraico-cristiana, come un "progresso" rispetto alle visioni animiste-panteiste di molte altre culture umane.

La visione giudaico-cristiana-islamica, d'altra parte, è solo il frutto di profonde scissioni, di dualismi inconciliabili tra Dio e il mondo, spirito e materia, uomo e natura. Diventa così facile passare al puro materialismo, basta togliere uno dei due termini, già ben distinti. Non c'è "superiorità". È forse superfluo aggiungere che questa visione non ha praticamente nulla nell'insegnamento di Cristo, di cui non sappiamo quasi nulla. Resta solo l'impressione che questo insegnamento si riferisca molto all'"amore compassionevole verso tutti gli esseri senzienti" del Buddhismo Mahayana. Per essere più precisi, esistono circa un centinaio di specie fossili intermedie con altri Primati, dagli Australopitechi ai Neanderthal e poi all'Homo sapiens. Vorrei sapere in che modo questi esseri senzienti vengono collocati da coloro che sostengono le fratture tra uomo e animale.

E poi aggiungo che non stiamo parlando di due contrasti tra filosofia della natura selvaggia ed ecologia profonda. L'una è insita nell'altra e, soprattutto l'ecologia profonda, contiene una visione universale che include tutta la nostra prospettiva positiva delle cose. Infine, è un grave errore inquadrare l'importanza della filosofia della wilderness in una visione meramente antropocentrica (sarebbe più logico e significativo attribuirle una peculiarità ecocentrica e olistica)”.

È invece necessario riaffermare con forza il concetto del valore della natura stessa affinché possa emergere un intimo legame tra il concetto di Wilderness classica e l'Ecologia profonda, che porta con sé una nuova etica ambientale integrata dal Manifesto per la terra; tutto ciò produce elementi fondamentali che universalizzano i concetti di conservazione e quindi di tutto il pensiero ecologico. Non basta, infatti, impegnarsi (anche se è ovviamente già un atto lodevole) nella tutela dei territori (wilderness e non), ma è anche necessario impostare una nuova forma di pensiero affinché la tutela della natura diventi un tutt'uno con l'esistenza quotidiana. Spegnere il dualismo e abbracciare la visione olistica e bioregionale dell'insieme. In questo modo il concetto di Wilderness si epura dai marcati riflussi dell'ecologia di superficie che, come abbiamo accennato, troppo spesso appartengono a esso, esporterà principi non solo di tutela diretta e reale delle aree selvagge, ma anche di pensiero.

Questo è un punto fondamentale poiché pensare di preservare un luogo il più selvaggio possibile senza nemmeno andare a incidere su una nuova concezione del mondo, è certamente un fatto importante, concreto e lodevole, ma ha alla base i piedi d'argilla, poiché si ferma a una visione miope rivolta a un solo elemento conservativo "superficiale", in una proiezione futura verrà inesorabilmente fagocitato da un sistema di pensiero fermo alla centralità dell'uomo e sempre allo sfruttamento della natura, in tutti i sensi che questa concezione intende. Infatti, vedere la Wilderness in funzione dell'uomo, anche se in forma prevalentemente spirituale, è anche una vera e propria forma di "uso" utilitaristico della natura. In questo caso è meno grave, poiché si tratta di un utilitarismo volto a esaltare fondamentalmente gli aspetti spirituali che l'uomo assume nel vivere la Wilderness (anche se non mancano quelli materiali), ma ha un "cancro" dentro di sé, poiché Egli pone la questione nel senso di proteggere un territorio per un ulteriore beneficio umano. È vero che la visione classica della natura selvaggia riconosce il valore di un territorio in sé, ma questo si concretizza solo se l'uomo può "trarne beneficio" in qualche modo. Ricordiamo invece il precetto fondamentale che recita: "la natura deve essere salvaguardata per il suo valore in sé e non per i nostri beni materiali, interesse spirituale o etico"; allora, a questo punto e con questa visione, se anche l'uomo troverà un beneficio, è benvenuto, anzi è auspicabile, ma questo deve essere esclusivamente un riflesso, non lo scopo di quel "salvataggio". Bisogna capire che se non si cambia la mentalità utilitaristica, il libero dispiegarsi della natura non troverà mai spazio, perché sarà sempre "frenato" dagli interessi diretti dell'uomo. E senza una visione olistica, ecocentrica e universale, in futuro tutto naufragherà nella distruzione totale della madre terra, poiché essendo stata prima totalmente posseduta dall'uomo, viene di conseguenza distrutta. Nessuno dubita che l'uomo "originario" vedesse nella natura quasi esclusivamente elementi della sua utilità, ma in questo caso si parla di "sopravvivenza" e, come il resto della vita sulla terra, "sfruttava" ciò che trovava disponibile, ma non è mai riuscito a distruggere ciò che era il suo pane. Ma l'uomo di cui stiamo parlando è un uomo che ha sviluppato un modo eccessivo, direi addirittura unico, di sfruttamento/utilizzazione delle risorse naturali che, essendo andato oltre i fini della sussistenza, è arrivato agli interessi "economici" e sta annientando tutto, solo perché ormai vede nella natura un immenso "forziere di banca" a cui "rubare" a più non posso tutto il denaro che vi trova.

"Quando si parla di ecologia e protezione della natura, occuparsi di 'visioni del mondo' sembra più astratto, o meno pratico, che dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o sulla conservazione delle foreste, ma è solo perché parlare di 'visioni del mondo' ha effetti molto più a lungo termine. Si tratta però di aspetti che toccano comportamenti e atteggiamenti molto più profondamente, rispetto ai più immediati consigli pratici della piccola ecologia” (G. Dalla Casa).

È certamente vero che voler cambiare la forma mentis, spostandola dall’attuale visione antropocentrica verso una centrata sulla Terra, non è cosa facile e immediata, ma sviluppare questa visione rinnovata (rinnovata com’era all’origine dei tempi vissuti) è fondamentale perché nel tempo, seppur lungo, se consolidata, arriverà a risultati universali, unici ed essenziali. “L’uomo è un fenomeno filosofico superato. L’universo è troppo vasto perché solo l’uomo possa abitarlo” (HD Thoreau) e, citando J. Muir “La natura ha molti altri scopi, non certo gli interessi degli uomini” oppure “La natura potrebbe aver destinato la terra fertile ad altri scopi che al nutrimento degli esseri umani”.

Dalla Casa, ricordando la figura di Arne Naess, scrive a questo proposito: “In realtà, come filosofia e comportamento fondamentale, l’ecologia profonda era ben nota agli sciamani Hopi o Lakota, ad altre culture native o ad alcune filosofie di origine asiatica, ma Naess fu il primo a definirla in termini scientifico-filosofici occidentali. In quell’articolo divenuto celebre, Naess distingueva tra un’ecologia “superficiale”, che si batte per la conservazione della natura, che tuttavia rimane una risorsa al servizio dell’uomo, e un’ecologia “profonda”, che sostiene il valore intrinseco delle realtà naturali. Se tutto ciò che esiste è interrelato, cioè se “tutto dipende da tutto”, l’essere umano non è più separato dal mondo naturale ma ne è solo una parte, che interagisce con gli altri e verso la quale deve assumere un atteggiamento empatico.

Il grande merito dell’ecologia profonda è quello di spostare la coscienza da centrata sull’uomo a centrata sulla Terra. Naess definì il movimento dell’ecologia superficiale, molto più più diffuso di quello dell'ecologia profonda, come "la battaglia contro l'inquinamento e l'esaurimento delle risorse, che spingerà gli esseri umani a spostarsi verso le cosiddette nazioni sviluppate". L'approccio di superficie dà per scontato l'ottimismo tecnologico, la crescita economica, lo sfruttamento basato sulla scienza e la continuazione delle attuali società industriali. Naess si esprime così: "I sostenitori dell'ecologia di superficie pensano di poter cambiare i rapporti umani con la Natura all'interno della struttura della società odierna".

"La principale forza trainante del movimento dell'Ecologia Profonda - scrive Naess - rispetto al resto del movimento ambientalista, è l'identificazione e la solidarietà con tutta la Vita". Il primato del mondo naturale è considerato "un'intuizione" e non una derivazione filosofica o logica. In linea di principio, ogni essere vivente ha diritto a una vita libera, autonoma e dignitosa. Per Naess, i singoli organismi, gli ecosistemi, le montagne, i fiumi e la Terra stessa devono essere inclusi tra gli esseri senzienti.

Il libro di Rachel Carson "Primavera silenziosa" (1962) lo colpì profondamente. Gli esseri viventi, pensava Arne Naess, hanno un valore in stessi. Come gli uccelli delle campagne americane sempre più silenziose, hanno bisogno di essere protetti dall'invadenza di miliardi di esseri umani. Dobbiamo ricercare una nuova armonia ecologica tra gli esseri viventi che abitano il pianeta Terra. Questo rinnovato equilibrio passa a livello teorico attraverso la rinuncia ad ogni forma di antropocentrismo: il diritto alla vita di ogni essere vivente è assoluto e non dipende dalla maggiore o minore vicinanza alla nostra specie. A livello pratico, il nuovo equilibrio ecologico passa attraverso la riduzione della popolazione umana, l'uso di tecnologie a basso impatto ambientale e la mancanza di interferenza umana in molti ecosistemi...

Infine, il significato dell'opera di Naess era anche quello di presentarci un percorso verso il ritrovamento di un rapporto preindustriale, animistico e spirituale con la Terra, nel rispetto di tutte le specie e non solo di quella umana. Questo è il messaggio di cui il nostro tempo ha bisogno: che la Terra non è solo una "risorsa" per l'umanità, qualcosa che deve essere sfruttata commercialmente. Purtroppo i personaggi più noti del movimento ecologista non hanno mai nominato pubblicamente l'ecologia profonda, né parlato della sua grande importanza: non a caso, dato che i suoi principi comporterebbero cambiamenti considerati troppo drastici per la società e soprattutto per il sistema economico".

"Non si può toccare un fiore senza disturbare una stella" (G. Bateson).

Afferma Hargrove "La bellezza è un carattere intrinseco e oggettivo dell'entità naturale (che quindi è bella per il solo fatto di esistere), pertanto essa è svincolata dalla percezione da parte di un soggetto..." e conclude "...la Wilderness è oggi simbolo universale di un territorio selvaggio non manomesso dalla mano dell'uomo in cui la natura, libera di rappresentarsi, si manifesta in tutto il suo splendore".

DEDICATO....... "A una Wilderness che preserva per sempre gli ultimi territori selvaggi stando esclusivamente dalla parte della natura, grazie alla sua visione olistica, ecocentrica, profonda che riconosce, nel suo massimo significato, il valore in sé dell'insieme natura".


"La civiltà non può ignorare la natura selvaggia, selvaggia e incorrotta! " (John Muir)

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Ma elaborare il profondo disaccordo tra uomo e natura è un compito tutt'altro che facile, anche se si volesse semplicemente giungere alla pura consapevolezza del fatto. È in parte come voler ricomporre un complicato puzzle composto da tanti elementi disuguali senza avere davanti a sé l'immagine guida. Ciò è dovuto anche al fatto che è necessario sradicare una forma di pensiero che negli ultimi secoli si è progressivamente indirizzata verso una disgiunzione totalizzante dove le monoculture mentali, fondate sul profondo solco del dualismo (uomo da una parte e natura, ben distinta dall'altra), si sono fortemente radicate in una visione unilateralmente rivolta all'unica verità ed esistenza del genere umano. Un pensiero nuovo, libertario e di mentalità aperta, deve quindi affrontare un doppio ostacolo; il primo è sradicare il pensiero globalizzato sul predominio e l'unilateralismo dell'uomo (un pensiero che anche in forma inconscia è ormai insito nelle menti), il secondo sarà quello di spodestare il falso certezze così fortemente radicate da intravedere, seppur in lontananza, una visione olistica dell'insieme. Quanti personaggi autorevoli con il loro parlare e le loro azioni hanno cercato di svolgere questo enorme compito, ma, almeno in prima battuta, si sono visti nella difficoltà di essere metabolizzati da "monocolture mentali" volte all'esatto opposto. Ma forse un giorno ciò che per ora, per certi aspetti, sembra ancora lontano, verrà compreso e praticato in totale consapevolezza e comprensione. All'inizio gli acuti "profeti" (Aldo Leopold, John Muir, H.D. Thoreau, ecc.) di un profondo cambiamento non furono compresi o addirittura del tutto ignorati, ma anche se il tempo è ormai molto limitato, un cauto ottimismo sulla anche parziale inversione di rotta, potrebbe aleggiare nell'aria (?!). Comprensione, comprensione, autoesame sembrano terminologie e concetti difficili da digerire, ma non è da escludere che facciano invece la loro giusta strada per arrivare, alla fine, ad essere acquisiti. La speranza, seppur flebile, è sempre l'ultima a morire. Ma per il momento, finché lo sfruttamento, il saccheggio e la distruzione del pianeta Terra (sotto tutti i fronti) rappresenteranno ancora un enorme vantaggio economico, la strada per procedere verso la giusta gestione e visione delle cose apparirà estremamente ardua. Finora, infatti, l'uomo dalla sua cecità ha iniziato a vedere qualcosa, ma solo il fumo rimane dietro il suo percorso devastante e sarà così saggio e lungimirante da invertire la rotta? I dubbi restano molti e in gran parte irrisolti. Molteplici azioni che ora sembrano positive sono ancora una piccola goccia d'acqua in un grande oceano eccessivamente sporco di "petrolio"!

"La tutela di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molti obiettivi, ma credo che uno solo debba essere lo scopo per cui dovrebbe essere attuata: preservare il territorio come fine a se stesso. E preservarlo significa, o dovrebbe significare, fare in modo che non venga deliberatamente alterato, significa decidere di sottrarlo alla logica dello sviluppo (che è la logica del profitto) che è puramente umana. Decidere di preservare un luogo è decidere di mantenere un comportamento animale ancestrale per quel luogo, che è la nostra origine, che è l'unico modo in cui possiamo definirci in equilibrio con l'ambiente: nessun cervo, nessun lupo, nessun orso ha mai potuto o preteso di "sviluppare" o "migliorare" o "far produrre" il proprio habitat. Semplicemente per millenni lo usano per ciò che spontaneamente offre loro e lasciandolo inalterato per le altre generazioni. Solo l'uomo è l'unica specie animale ad essere uscita da questo "cerchio della vita" (Franco Zunino).

lunedì 27 ottobre 2025

Etica della Terra

                                                               Wild Nahani


Etica della terra






"Stavamo mangiando su una sporgenza rocciosa, ai cui piedi un torrente turbolento piegava a gomito. Vedemmo quello che pensammo fosse una cerva guadare, immersa fino al torace nell’acqua bianca spuma. Quando si arrampicò sulla sponda dalla nostra parte e scosse la coda ci accorgemmo del nostro errore: era un lupo. Un’altra mezza dozzina, evidentemente piccoli già cresciuti, balzò dal folto dei salici, radunandosi per dare il benvenuto, scodinzolando e litigando giocosamente. Insomma, un vero e proprio mucchio di lupi si agitava e ruzzolava allo scoperto proprio sotto il nostro masso.

A quei tempi non avevamo mai sentito che qualcuno si lasciasse sfuggire l’occasione di uccidere un lupo. In un attimo stavamo scaricando piombo sul branco, con più eccitazione che precisione.......

Raggiungemmo l’animale agonizzante, che era una lupa, in tempo per vedere un feroce fuoco verde spegnersi nei suoi occhi. Mi resi conto allora, e non l’ho mai dimenticato, che c’era qualcosa di nuovo per me in quei occhi, qualcosa che solo lei e la montagna sapevano. A quel tempo era giovane e mi prudeva il dito sul grilletto; pensavo che meno lupi significasse più cervi, e quindi niente lupi equivalesse al paradiso dei cacciatori. Ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde, sentii che né la lupa, né la montagna condividevano quel punto di vista......

Forse è proprio questo che significa il detto di Thoreau: ‘La salvezza del mondo si trova nella natura selvaggia’. Forse questo è il significato nascosto nell’ululato del lupo, che le montagne conoscono da molto tempo, ma che gli uomini raramente percepiscono” (A. Leopold, 1949-1997).


Nella società contemporanea per una reale conservazione degli spazi naturali e per poter adempiere ad uno sviluppo sostenibile della comunità umana è necessario mettere in gioco molteplici atti pratici, ma che prendano le mosse dall’acquisizione di una nuova mentalità che ormai, pur se in forma ancora embrionale, serpeggia in una qualche misura nel mondo. Ecco dunque affacciarsi la necessità di esprimere al meglio e con la massima chiarezza una nuova etica della terra in cui, la sommatoria di svariati aspetti, deve portare al radicamento di una conoscenza che può palesarsi nella realtà effetttiva delle cose. Non è infatti sufficiente parlare di conservazione della natura o di un nuovo stile di vita disquisento solamente su ciò che si dovrebbe fare, ma è fondamentale portare alle luce numerose questioni che riguardano soprattutto la politica, la società, la filosofia più profonda. In altri termini se non si radica nella mente del genere umano una visione olistica del tutto, ogni discorso avulsamente inalberato per affermare la giusta via, non trova nessuna base concreta di attuazione. “Che cosa ha a che fare la filosofia con i problemi ecologici? Non è forse meglio che parlino la chimica, la biologia, la geografia, l’ingegneria oppure la sociologia e la politologia? L’incombere della catastrofe ecologica provoca reazioni di rassegnazione o di cinico edonismo e trova le sue radici nella frammentazione del sapere e delle sue tecniche che sta anche alla base della crisi filosofica attuale. Il compito della filosofia appare allora quello di domandarsi come l’uomo sia arrivato a minacciare l’intero pianeta e che senso abbia, in questa prospettiva, l’idea tradizionale di progresso. Ma non solo: la filosofia deve individuare nuovi valori e categorie per reimpostare il rapporto uomo-natura in modo da formare esseri umani in grado di affrontare la crisi. Ecologia è, letteralmente, dottrina della casa. Ma oltre la dimora materiale, la Terra, è necessario ricostruire la dimora spirituale (e con essa una nuova idea della politica) che garantirà la sopravvivenza della casa planetaria” (quarto di copertina in Hosle, 1992).

A questo punto appare fondamentale ricordare i concetti, più volti citati in questo lavoro, che espresse Aldo Leopold (simbolicamente la sua presa di coscienza partì proprio dal giorno che vide spegnersi quel “fuoco verde” degli occhi della lupa). Infatti nella sua “Etica della terra” contenuta nel suo capolavoro “A Sand County Almanc”(1949, 1997), un libro che rappresenta una pietra migliare per la mentalità conservazionista, Leopold va oltre l’antropocentrismo ed elabora l’“etica della terra”; tutte le etiche si basano su un’unica premessa: che l’individuo è un membro di una comunità di parti interdipendenti ... una volta che si riconosce questo è difficile negare i diritti alle varie parti ... l’uomo essendo membro della comunità biotica della terra non può negare a questa i suoi diritti. Una decisione è giusta quando tende a preservare l’integrità, la stabilità, la bellezza della comunità biotica. E’ sbagliata quando tende all’opposto (Pagano, 2001). Con questo semplice ed acuto ragionamento Leopold è considerato la fonte più importante del biocentrismo moderno e dell’etica olistica. Scrive sempre Pagano (2001): “….. la natura non era solo un oggetto di cui l’uomo poteva disporre a piacimento. Leopold capì che rimanendo ancorati alle banalità quotidiane il pensiero diventa incapace di percepire la grandiosità della natura……. Nessuna, fino ad allora, aveva pensato ad un’etica che operassse a livello di specie, habitat e persino a processi ecosistemici. In quel breve ragionamento Leopold sostiene che l’etica umana impone dei limiti al singolo uomo in quanto parte di una comunità di parti interdipendenti: la società umana. Ma, allargando il ragionamento, se la specie umana riconosce il suo ruolo di parte integrante delle comunità ecologiche deve anche, automaticamente, riconoscere i diritti della natura. La consapevolezza di essere ‘compagni di viaggio’ degli altri essseri naturali implica che la natura ha un valore proprio indipendente da quello che gli dà l’essere umano. Scrive a tal proposito Leopold:’In breve, un’etica terresstre modifica il ruolo dell’Homo sapiens da conquistatore della terra a semplice membro e cittadino della sua comunità’”.

Ma come abbiamo accennato poc’anzi, l’affermazione di una nuova etica della terra deve confrontarsi, per poter essere realmente metabolizzata, con numerosi eventi sociali, politici e filosofici. “Il problema non è più se i problemi ambientali siano meglio risolvibili attraverso l’azione etica o l’azione politica, bensì se questi problemi siano risolvibili attraverso un’azione complementare a entrambi i livelli.

Perché questo duplice approccio alla soluzione dei problemi ambientali possa funzionare, come lo stesso Leopold vedeva chiaramente, lo Stato democratico deve educare i cittadini a quei valori ambientali che sono necessari sia per l’azione etica sia per quella politica……..L’obiettivo dell’insegnamento dei valori non deve essere l’indottrinamento, ma il chiarimento…..” (Hargrove, 1990).

Il concetto di chiarimento è molto importante perché pone la questione su un punto fondamentale: un’etica della terra biocentrica ed olistica non deve tanto essere insegnata come qualcosa partorita da un atteggiamento filosofico e metafisico avulso dalla realtà, ma semplicemente come qualcosa che è già in essere, sin dalla formazione del pianeta terra, un qualcosa che solo nel corso dei millenni il cammino dell’uomo l’ha smarrito dalla sua dimensione e che ora non lo vede più o al massimo lo percepisce molto debolmente. In altri termini non si deve affermare qualcosa di inventato da una nuova visione della vita, ma bensì “chiarire” che i precetti non antropocentrici sono già in essere nella realtà della madre terra sia a livello biotico che abiotico. Ecco dunque l’appello affinché la nuova etica della terra (occorre dire nuova perché se un tempo era presente, cammin facendo, come detto, l’abbiamo completamente smarrita), si riappropri del proprio essere e rientri trionfante nella visione del tutto da parte del genere umano.

Il compito di questo chiarimento non è affatto semplice, anche se stiamo parlando di qualcosa che esiste già, perché l’uomo contemporanea si è gettato a capofitto verso precetti che lo vedono sempre più al centro delle cose con la pretesa che ogni elemento è di sua esclusiva proprietà e lo utilizza a suo libero, ma insensato piacimento. “Ci possono essere innumerevoli scale di valori, ma da quanto accennato è evidente che il primo valore dovrebbe essere quello di consentire la vita della Biosfera, da cui dipendiamo: la sopravvivenza della Terra è essenziale.

L’etica della Terra non è solo una posizione filosofica, è soprattutto una necessità per mantenere in vita e in salute l’Organismo cui apparteniamo, assieme alle altre specie, agli ecosistemi, all’atmosfera, al mare, ai fiumi, alle montagne”. (Guido Dalla Casa).

Un riassunto schematico sui principi basilari di una reale etica della terra sono simili a quelli esposti nel capitolo sull’ecologia profonda, ma per una maggiore chiarezza e completezza è bene riesporli con ulteriore aggunte e precisazioni (da Devall & Sessions, 1989, modificato):


1. Il benessere e la prosperità della vita umana e non umana sulla Terra hanno valore per se stesse (in altre parole: hanno un valore intrinseco o inerente). Questi valori sono indipendenti dall’utilità che il mondo non umano può avere per l’uomo.

2. La ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla realizzazione di questi valori e sono inoltre valori in sé.

3. Gli uomini non hanno alcun diritto di impoverire questa ricchezza e diversità a meno che non debbano soddisfare esigenze vitali.

4. La prosperità della vita e delle culture umane è compatibile con una sostanziale diminuizione della popolazione umana: la prosperità della vita non umana esige tale diminuizione.

5. L’attuale interferenza dell’uomo nel mondo non umano è eccessiva e la situazione sta peggiorando progressivamente.

6. Di conseguenza le scelte collettive devono essere cambiate. Queste scelte influenzano le strutture ideologiche, tecnologiche ed economiche fondamentali. Lo stato delle cose che ne risulterà sarà profondamente diverso da quello attuale.

7. Il mutamento ideologico consiste principalmente nell’apprezzamento della qualità della vita come valore intrinseco piuttosto che nell’adesione a un tenore di vita sempre più alto. Dovrà essere chiara la differenza tra ciò che è grande qualitativamente e ciò che lo è quantitativamente.

8. Le culture religiose antropocentriche (quasi tutte) devono mutare radicalmente la loro visione e diffondere il pricipio ecocentrico della terra.

9. Le forze che devono promuovere una visione olistica del tutto devono operare con sinergia e coinvolgere una multitudine di settori: sociologia, politica, economia, filosofia, scienza, ecc.

10. Il concetto del valore vita non deve essere riferito nelle dissertazioni solo nella sfera umana, ma deve comprendere ogni forma di essere vivente.

11. Nell’attuale diffusione della globalizzazione occorre universalizzare concetti di valore olistici ed ecocentrici e non solo aspetti di utilità economica e liberalistica. Occorre inoltre diffondere a livello mondiali precetti di sobrietà, parsimonia ed semplificazione dello stile di vita.

12. I parametri fondamentali di uno stato non devono essere misurati solo dal punto di vista economico (la cosiddetta crescita illimitata, lo sviluppo, il PIL, ecc.), ma soprattutto dalla qualità ambientale, sociale e dalla più assoluta preservazione degli spazi naturali.

13. Occorre pensare che i dovuti cambiamenti devono cominciare dal singolo e non solo dalla società nella sua interezza, altrimenti con la scusa che in generale nulla cambia, anche il singolo non opera in nessun campo. Si ricorda che la moltitudine è fatta dalla somma di tante singole unità.

14. Ricordarsi sempre di proteggere e sviluppare al massimo la biodiversità sulla terra. 

15. Chi condivide i punti precedenti è obbligato, direttamente o indirettamente, a tentare di attuare i cambiamenti necessari.


L’etica della terra deve dunque celebrarsi non secondo pricipi relativistici e incasellati in archetipi dogmatici scanditi da visioni unilaterali e miopi, ma occorre mettere in campo una larga gamma di modelli che portano con estrema chiarezza a quel chiarimento che potremmo tradurre anche con il termine “consapevolezza”. E’infatti fondamentale rendere consapevoli i cittadini del mondo per ricondurli, sia pure per gradi, verso quei valori etici e pratici che una volta erano insiti nella visione del quotidiano. Unire le forze, moltiplicare gli sforzi, ma ogni azione deve tendere con fermezza all’affermazione di una olistica etica della terra. Forse il compito e gli intenti potranno sembrare ardui e quasi utopistici, ma almeno un tentativo occorre farlo prima che il mondo degeneri nella catastrofe che è già in essere ed è ad un passo da essere completata!

“Quando si parla di ecologia e protezione della Natura, occuparsi di ‘visioni del mondo’ sembra una cosa più astratta, o meno pratica, rispetto a dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o la conservazione delle foreste, ma è soltanto perché parlare di ‘visioni del mondo’ ha effetti a scadenza molto più lunga. Sono però aspetti che toccano molto più in profondità il comportamento e gli atteggiamenti, rispetto ai più immediati consigli pratici di ecologia spicciola” (Dalla Casa, 1996).

Disse una volta WA-SHA-QUON-ASIN:“Questa non è la voce di Gufo Grigio che parla, ma la voce di un esercito potente e che aumenta in continuazione: i difensori della fauna selvaggia, le cui voci dovranno essere ascoltate. Che le vostre orecchie stiano aperte” (Dickson, 1999). E poi, come già citato in questo libro, per concludere, una sua bellissma quanto eloquente affermazione: “ Voi siete stanchi di questi anni di civilizzazione. Io vengo, e cosa vi offro? Una singola foglia verde”.

Wilderness mind

 Wild Nahani


Wilderness Mind










…… i lupi selvaggi vanno via. Lo spirito del selvaggio va via. Il respiro del selvaggio va via. Foreste silenti e senza fine vanno via. Ogni cosa, libera e selvaggia sta andando via. Il tempo scorre e il selvaggio va via. La luce che illumina il selvaggio trascolora. Tutto ciò che fluisce senza tempo sta andando via. Forse lo stesso ricordo del selvaggio sta andando via. Stiamo perdendo la nostra vera essenza. Stiamo migrando nel vuoto della vita e stiamo, poco a poco, sommessamente spegnendoci. Siamo sempre più poveri della verità del selvaggio, siamo sempre più poveri della stessa vita, siamo ancor più poveri dell’ululato del lupo. Una lontana e flebile melodia vuole cantarci il mondo della wilderness, ma ci sta suonando note di infinita tristezza, perché ci siamo ritratti dinanzi all’assolutezza del selvaggio. Canta pure o melodia e sveglia l’anima assopita del nostro spirito che ormai non contempla più il mondo della natura. Addio lupo fiero e gentile, addio lupo fiero ed indomito, addio luci selvagge dello spirito che, nel dissolversi, portano il nostro cuore verso l’oscurità più tetra e, melanconicamente, verso una strada senza uscita e senza più anima né speranza. Le foreste ci osservano attonite mentre perlustriamo vanamente un mondo che è sempre meno selvaggio, scevro dalla verità dell’ululato del lupo. Io grido con forza contro tutto questo, perché so che perdendo il selvaggio, perdendo l’ultima frontiera della natura vuol anche dire perdere la vita e lasciarsi dietro alle spalle un mondo fatto di bellezze infinite e di silenti foreste. No, io non lo accetto! Il selvaggio deve tornare e, se potrà accadere, dovremo a quel punto riacquistarlo e riviverlo in tutto il suo splendore. Ma ora, dinanzi a questo baratro, sull’ululato del lupo potremo riflettere a lungo e scrivere tante parole e fors’anche diremo tante cose, ma la nostra retorica non ci porterà mai all’essenziale! E’ questo è proprio quello che ci manca: l’essenziale ed allora ci ritroviamo improvvisamente soli. Una solitudine che abbiamo voluto, fortemente voluto perché non abbiamo ormai più l’udito per ascoltare l’ululato del lupo. L’ululato del selvaggio……!


* * *


Un lago si dispiegava dinanzi alla vista del cuore. Un senso di vita albergava nell’aria, ma nel mio spirito sembrava mancare qualcosa, qualcosa di profondo che mi estraniava dal mondo circostante. Ero come un fantasma che si muoveva in una atmosfera stupenda ma per me quasi irreale ed opalescente.

Capivo che non era l’ambiente a determinare il mio profondo intimo, ma il mio spirito che ovunque vagasse portava con se qualcosa di oscuro e di incomprensibile. Sentivo tristezza, senso di non appartenere a nulla, di essere fuori dal mondo reale anche se così bello ed irripetibile.

Ero privo di vita interiore, non conoscevo più nulla, e tutto mi appariva senza senso e non vitale. Sentivo di amare la morte, ma in fondo di non volerla perché avevo un solo timore: perdere per sempre la possibilità di riuscire a calarmi nel mondo selvaggio.

Il giorno, alle prime luci dell’alba nordica, tutto continuava così. Ero vuoto, non riconoscevo la vita con la sua forza e pareva manifestarsi solo la tristezza e la melanconia. La mia mente vagava tra il nulla e il vuoto totale e niente sembrava appagarmi. Ero troppo triste ed interiormente solo. Nessuna cosa mi scuoteva e mi dinamizzava. Era pura follia mentale di non vita! 

Una piacevole passeggiata nella foresta alternata da laghi e paludi. Ma il mio spirito era altrove. Non sentivo il respiro della vita anche se l’ambiente ne diffondeva in abbondanza. Sentivo la mancanza di qualcosa di essenziale nel mio animo. Perché questa follia mentale? Forse non sapevo o forse ne ero consapevole appieno ma non volevo svelarlo a me stesso. Sentivo il respiro del mio corpo ma continuavo a respirare la non vita. Una brutta e vacua sensazione. Non vivere mentre si vive è qualcosa di allucinante e di indescrivibile.

Io probabilmente avevo dentro me il segreto di questa tristezza, di questa insanabile melanconia, ma nulla pareva scuotermi e vivificarmi. Vivevo da alieno, come se appartenessi ad un mondo non mio nel quale non riuscivo a adattarmi. Ma non parlavo di un mondo estraneo dal punto di vista esteriore, ma solo ed esclusivamente di un mondo interiore.

Vivere la vita è bellissimo, ma bisogna viverla veramente e consumarla. Non occorre morire dentro poco per volta e non sentire nulla. E’ meglio sublimarsi subito corporalmente, è meglio perire spiritualmente per annullarsi nel vuoto della vera ed inalienabile morte. Ti avevo sempre amato o vita ma purtroppo non ti vivevo ancora. 

Perché non sentivo il tuo respiro o il tuo pulsante cuore? Mi mancavi. Mi mancavi molto, troppo per continuare a vivere senza viverti. Sentivo così tanto l’inespresso mondo del selvaggio.

Il giorno dopo fu una giornata funesta. Tensione, iracondia, tristezza, asprezza. Una strana luce adombrava la mia giornata. Non c’era possibilità di armonia. Solo settorialità e meschine menzogne. Il vento alimentava la mia angoscia e nulla mi allietava se non il pensiero rivolto alla possibilità di connettermi con la wildness dell’anima. Sentivo un profondo amore e un inafferrabile senso di perdita. Sapevo che potevo perdere qualcosa di bello per sempre, per l’eternità e ciò era per me funesto ed inaccettabile. Cercavo una mediazione, una sana follia, ma non trovavo altro che cenere e i resti consunti delle cose. 

Non avevo la forza di reagire, di controbattere e lasciavo andare le cose così contrariamente al mio vero volere. Fu una ennesima giornata triste, densa e tetra che alla fine mi allontanò per l’ennesima volta dal mio vero io. Sentivo la follia, il senso della perdita e nulla poteva arrecarmi conforto, nulla, proprio nulla. Ma oh natura ispiratrice, dammi la forza di reagire, di ricostruire il mio essere, anche poco alla volta.

Siate felici o miei adorati lupi. Che ogni cosa vi sorrida sempre e che il malefico uomo con la sua scure vi sia lontano mille miglia. Ero felice per loro, mentre la mia vita si stava spegnendo! Non osavo pensare a loro, ma nello stesso tempo erano dentro di me. Mi faceva troppo male non poterli stringere simbolicamente tra le mie braccia perché stavano scomparendo poco per volta. Sentivo però la loro presenza occulta e ciò alleviava almeno un po’ la mia tristezza. Sentivo il loro profumo, il loro respiro e sentivo che il loro cuore, ignaro di tutto, batteva ricco di speranze. Le lacrime improvvise rigavano il mio volto, la tristezza si espandeva dentro me, ed ogni cosa si perdeva nella nullità della mia vacua esistenza. Forse questi erano i miei ultimi versi, ma una strana sensazione mi induceva a reagire e a sperare ancora. Ma ero ugualmente pessimista, non vedevo nulla intorno a me che potesse darmi la forza di reagire. Non appartenevo più a nulla, il vuoto intorno a me. Ero sempre assente, non ascoltavo nulla, e nulla sembrava poter ascoltare me. Addio giornata triste, addio mondo girevole. Io volevo tanto uscire di scena, per sempre e con certezza.

Alcuni giorni dopo la giornata ancora iniziava con un’angoscia nel cuore dopo una notte costellata da incubi e da emozioni dal profondo. Ma forse mi sembrava che la fresca aria del mattino potesse portare un po’ di conforto e di “ottimismo”. Sarà vero? Lo avrei verificato più tardi.

L’angoscia, nella sera, ebbe invece il sopravvento, perché dovetti fare ciò che mai avrei voluto. Trovarmi dinanzi ad un bivio e dover scegliere quale strada percorrere. Non era assolutamente il momento adatto e forse non lo sarebbe mai stato. Preferivo trovare alterne vicende, anche disagevoli ma sempre su un unico sentiero da percorrere. Invece, il caso della mia vita sembrava riservarmi questa grave ambascia. Che dolore nel petto, nel profondo. Amare lacrime solcavano il mio viso e gocce di sangue uscivano dal mio cuore.

L’indomani fu una giornata a fasi alterne, ma la tristezza era sempre ancora padrona di me. Una bella escursione tra i boschi non fu affatto sufficiente a sollevarmi almeno un po’.

Stavo ormai percorrendo un sentiero perché sia pure a malincuore probabilmente sembrava che lo avessi preferito ad un’altro. Quante belle cose sapevo di perdere per l’eternità. Non era certo una bella sensazione. E’ vero, probabilmente nessuna via porta a qualche parte, ma io ne soffrivo amaramente e bruciavo ardentemente nel mio profondo io. Sapevo che stavo perdendo per sempre qualcosa di “speciale”, qualcosa di irripetibile, eppure sembrava che lo stessi facendo e per di più per colpa mia. Stavo infatti perdendo l’unità con la natura, stavo perdendo per sempre lo spirito selvaggio. Ma mi rendevo conto che non avrei affatto dovuto scegliere. Che pazzia. Questa si che sarebbe stata la follia peggiore.

La luce d’intorno non mi illuminava minimamente, anzi dentro di me si incupiva sempre più.

L’angoscia era ancora la mia padrona, ma da una parte compresi un po’ il significato delle mie insofferenze. In fondo le meritavo perché nella mia vita il mio comportamento era stato troppo disarmonico con la natura e l’immagine che avevo dato ad altri esseri probabilmente non rispondeva affatto alla mia vera essenza. Non si può dalla vita prendere sempre le cose nel modo proprio e secondo le proprie necessità “domestiche”. Avevo capito che se nascono dei rapporti con il mondo e con altri esseri era necessario attivare un comportamento più universale e meno egoistico.

Un giorno feci un’altra utile riflessione. Non è possibile vivere la vita proiettandola solo nel futuro. Camminare sempre spostato in avanti. Oppure fare le cose facendo finta di dimenticarne altre. Non serviva a nulla perché ad ogni angolo sarebbero riapparse sempre le angosce e le delusioni. Quanta insanabile tristezza invece era ancora dentro di me. Quanta sfiducia! Mi sentivo come un principe che prima aveva avuto molto, un molto però fatto di fantasticherie, rapporti inespressi, continui e ricchi pensieri; poi d’improvviso il vuoto ed ecco che il principe si ritrova povero e privo delle vere cose. Ero diventato veramente povero. Avevo perso o forse stavo perdendo i miei sogni, le cose più belle, le sensazioni più forti, la mia unica verità: il lato selvatico di se stessi. Stavo solcando probabilmente il sentiero sbagliato lontano dalla wilderness della vita.

L’ambiente intorno era per me fortemente in unisono con il mio io, almeno in apparenza, ma un disagio continuo mi attanagliava e la disarmonia mi struggeva il cuore. Non riuscivo a controllarla ed a non farla appartenere al mio spirito. Non sapevo fin quando sarebbe durata la mia vita, ma in quel modo era impossibile proseguirla. Non potevo farcela. No, non potevo farcela.

Anche quella giornata era dunque cominciata nella più nera negatività! 

Un giorno decisi di riflettere con più prospezione sul mio stato di essere.

Finalmente stavo forse reagendo un po’ positivamente per attraversare quel tunnel di negatività che ormai mi sembrava infinito.

La luce d’intorno mi appariva alquanto più chiara e un labile ottimismo sembrava presentarsi al mio cuore. Forse un sogno liberatore mi aveva aiutato ed in quei decisivi momenti riuscivo finalmente ad intravedere qualcosa. Si, in verità in quel giorno forse stavo riuscendo a risollevare il mio spirito. Sentivo il ritorno della verità e gli interessi per le cose, almeno in piccola parte. Sicuramente era il momento buono per cominciare a cambiare rotta e ad imboccare la via “maestra” della natura. Avrei visto le effettive conseguenze nei giorni successivi. Ero fortemente speranzoso. Un sicuro aiuto mi veniva certamente dalla tranquilla esistenza dei luoghi in cui mi muovevo anche se a tratti tutto mi pareva fortemente estraneo.

Dopo il cauto ottimismo di alcuni giorni mi tornò l’angoscia probabilmente a causa delle difficoltà non ancora superate sulla struttura del mio futuro interiore. Sentivo ancora la vita selvaggia sfuggirmi e nulla appariva chiaro e riposante. Ma non avrei dovuto tirare i remi in barca perché con un po’ di perseveranza e di pazienza forse ce l’avrei potuta fare. D’altra parte ormai era quasi normale che la sofferenza mi appartenesse e sapevo che se volevo costruire qualcosa di nuovo non avrei mai dovuto guardarmi indietro!

Un giorno giunse un momento cruciale. Mi ritrovavo di nuovo dinanzi ad un sentiero che d’improvviso cambiava rotta. E’ forse quello giusto e non è proprio questione di percorso?

Pensavo ai mie sogni del selvaggio e di leggerezza e un lupo dei boschi mi appariva dinanzi come un vanescente fantasma. Ne vedevo le sembianze, le leggiadre fattezze e perdevo a tratti la sua visione. Perché?

Le stelle cadevano nel cielo ed i miei desideri reconditi si moltiplicavano nella mente. Ascoltavo il silenzio mentre le mie sofferenti vestigie mi portavano compagnia. 

Un vuoto si diffonde nell’aria e trasmigra tra le anime dell’eterno. Ne odoro la volontà e ne recepisco la libertà......

Quando la luna apparve nel cielo tardivo fu una sera delle rimembranze, la sera della mia pacata certezza. Mi stavo forse allontanando da una insensata perdizione. La luna si rifletteva sul lago filtrata da una magica opalescenza delle nebbie. Il senso di calma e di mistero si rafforzava d’improvviso anche se perdevo il mio controllo emotivo......Le stelle cadenti venivano giù a grappoli ed io per ognuna di esse esprimevo sempre lo stesso desiderio……. In quel momento ero per così dire felice, gioioso ed avrei voluto fermare il tempo, ma cosa mi tratteneva?

Poi d’improvviso compresi finalmente qualcosa: non potevo chiudermi nelle mie sofferenze interiori, vivere nella natura, amarla, ma essere lontano perché ottenebrato da chissà quali lugubri pensieri, essere sempre timoroso di tutto e continuamente succube della mia mente prigioniera di se stessa, essere sopraffatto da un’angoscia partorita dalle vanescenti minacce esistenziali, dal non saper affrontare veramente le cose, dal non coltivare e riportare alla luce il mio lato selvatico, spegnermi poco alla volta di consunzione…..ma a questo punto non posso, in verità, procedere nel discorso perché il grande dilemma rimane: affronterò veramente la realtà della wilderness della vita? Mi farò governare dalla saggezza e dal giusto coraggio? Farò stupidamente prevalere il lato domestico a quello selvatico? Non so quello che farò, o meglio so quello che dovrei fare per essere in verità, ma solo se lo realizzerò potrò vederne i meravigliosi effetti positivi. Intanto ringrazio quel misterioso e sicuramente metaforico lupo dei boschi, per le sua essenza, la sua verità e per la sua bellezza; sarò con il suo spirito, in ogni caso, per sempre unito ed irrevocabilmente inseparabile! Il mio spirito non cesserà mai di sognarlo anche se egli sarà lontano da me. Il selvaggio se lo hai perso o lo hai sfuggente lo senti sempre dentro ugualmente, in ogni caso. 

Che io possa ritrovarti un giorno lupo solitario per poterti accarezzare la folta pelliccia così soffice per l’incipiente inverno, fosse pure in un’altra vita……


* * *


Mi trovo solo nella capanna. La neve cade copiosamente ed ogni cosa pare sublimarsi nella bellezza della materia e dello spirito. Sto scegliendo una vita diversa, ma devo impegnarmi a vivere e a respirare il nuovo. Non devo avere timore di cambiare e di unirmi al tutto. Devo trasfigurare me stesso in me stesso. Devo camminare nella notte, volare nella mente ed assaporare il significato recondito della verità naturale. Mi trovo solo nella capanna e devo attingere l’acqua dal pozzo e riscaldarmi con la legna che ho raccolto....... E’ proprio vero. E’ difficile ritornare semplici, è veramente difficile farlo e soprattutto sentirlo dentro. Mi inebrio delle luci interiori e trasfiguro nell’infinito, ma respiro a fondo e mi alimento con il mio nuovo pensiero. Sento a tratti la verità celata che poco a poco torna alla luce. La luce, una parola bellissima che si contrappone alle tenebre, non quelle della notte, ma quelle dello spirito quando è impegnato a ricercare l’effimero e il vacuo. La luce mi riporta alla vita, fors’anche unita alla morte stessa, ma la verità poco alla volta mi penetra nella solitudine e nella smarrita via. Mi trovo solo nella capanna. Il vento porta con sé turbini di neve, gelide sensazioni, ma trasferisce anche nell’aria il richiamo del selvaggio e limpide visioni che il frusciare delle fronde degli alberi amplifica teatralmente. Mi chiudo nel mio io, cerco di guardarmi dal mio interno e vedo i miei errori, le mie indecisioni, le mia fugacità e mi spingo oltre, oltre il mio limite e, con sorpresa, comincio ad intravedere la riva giusta dove ogni cosa è come deve essere e come sempre sarà. Caro lupo solingo, torna nella mia mente, aiutami ad aprimi al mondo selvaggio affinché possa ritrovarvi il carico di verità e di bellezza. Grazie spiriti dei boschi. La vostra voce annuncia la libertà, annuncia la giusta via ed io, in balia della vera vita, trasmigro lentamente verso l’assoluto, un assoluto che in forma opalescente ricordo che un tempo lontano era in me, in ogni essere umano poi...... la ‘magica’ parola civilizzazione ce lo ha portato via ed io mi sono stancato, è vero, mi sono stancato. Riconosco tutti i miei errori, uno ad uno e difficilmente cerco di trovarvi in mezzo qualche atto di saggezza. Poi d’improvviso ne trovo uno: la consapevolezza, l’essere consapevole di qualcosa. E’ un grande possesso, perché è il primo passo verso la giusta via. Ma a questo punto non devo più tornare indietro. E’ troppo bello per perderla di nuovo. Non me lo posso permettere. Perdonatemi tutti se un giorno lo potete. Mi sento meschino ed effimero, ma ho cominciato ad essere ora veramente consapevole ed ora non posso far altro che andare avanti per un illuminante ed onnipresente percorso. Sento ululare i lupi. Finalmente lo comprendo nel modo giusto ed indiscusso. Ma soprattutto ora lo vivo veramente. Esco dalla capanna e mi unisco a quel penetrante suono perché nel mio cuore finalmente sento che posso ricominciare, ricominciare davvero.


* * *



Nel pieno dell’inverno nordico mi trovo raccolto nella capanna circondato dall’infinita taiga che nell’apparente sonno ti dona la vita e il ‘respiro’ del sangue. Torna in me continuamente la sensazione della libera libertà, con il vigile sguardo metaforico del lupo selvaggio. Non comprendo più il peso delle falsità e delle maschere, sento la verità affiorare dalla mia pelle e nulla, proprio nulla può distrarmi da tale stato d’animo. Essere nella natura selvaggia significa essere sempre se stessi, messi a nudo con le proprie debolezze e con tutti i limiti che ogni esistente porta nel proprio fardello della vita. Ogni azione delle membra e dello spirito sono essenziali, ed ascoltare, saper ascoltare il silenzio e la solitudine è ormai una cosa da apprendere e non più da constatare. Nulla può toglierci il desiderio di respirare il vero, e nessuna cosa può impedirci di svincolarci dalle inutili catene che ci siamo progressivamente imposti. Ma dobbiamo voler farlo.

Ascoltare il silenzio, l’immoto silenzio che dona la riflessione, la calma e la vera serenità. L’alienazione di un uomo solo tra le mura della civiltà è forte e lo conduce pian piano verso la sua rovina e la sua perdizione. Si estingue da sé, si toglie il respiro da sé e non c’è cosa che lo possa svegliare dal profondo sonno del proprio spirito. Io ho imparato ad ascoltare, ormai molto bene, la calma e la voce della mia parte interiore che alla fine si compenetra perfettamente con il grande respiro dell’essenza della vita selvaggia.

Ero prigioniero e schiavo dell’angoscia e dell’ansia, e non ero affatto padrone di me stesso. Ero una sorta di burattino i cui fili erano mossi dalla brama della vita apparente, e non conoscevo più i segreti delle mie verità nascoste.

Mi sono recato, per farlo, ai margini del vorace grande cerchio della civiltà, che tutto assembla uniformemente e riduce ogni cosa simile ad una “macchina” che produce, guadagna e, soprattutto, consuma. Uscirne sostanzialmente fuori, o almeno porsi ai margini vuol dire aver compreso che dentro ogni vita pulsa qualcos’altro che non sia denaro, potere ed effimere chimere. La piccola e semplice socialità potrebbe condurre ad un rapporto multiforme, armonico e sapiente, ma la grande, globale e insensata socialità, o meglio ‘asocialità’, trasforma le cose difformemente anche se in apparenza le accomuna e conduce, direi, repentinamente verso l’abisso e la fine del saper ascoltare il ‘silenzio’.

L’interiore visione della vita non sembra più appartenere all’uomo contemporaneo, e vengono alla luce tutti i malanni di un tale stato. L’uomo dunque degenera credendo che con il suo operato stia facendo sempre meglio per ‘uscire’ progressivamente da una vita che gli sembrava insofferente e priva di cose ‘utili’. Sta cadendo dunque nel tranello di se stesso, in una trappola che alla fine può non consentire una via di ritorno. 

Io rifletto sul senso della mia vita e riconosco che essa non è una scelta, ma un dovere, un dovere che deve essere onorato nel migliore dei modi. Se annullo me stesso per trascorrere un’ esistenza senza significato è come se mi rifiutassi di vivere, e ciò non è bene. Devo reagire alle negatività che mi impongo o che a volte mi sono indirettamente imposte. Devo sprigionare la mia energia positiva per dedicarla alla qualità dell’esistenza. 

D’intorno la taiga sembra che dorma, ma mi ammonisce, mi risveglia il senso di me, e mi conduce direttamente verso la via dell’essenza. Così io prendo il mio spirito e lo lascio scorrere per il fiume della vita. Una vita di qualità e di essenza dove il vacuo e le nullità non trovano più posto. Ho finalmente compreso che il sogno e la realtà si fondono in un’unica muliebre sostanza dove la bellezza di ciò che è natura respira dentro me e dentro le cose.

Sento veramente nel mio essere la wilderness della vita, il richiamo del selvaggio. E’ inutile inalberare grandi discorsi se si uccide la natura. Ce ne andiamo tutti. Dobbiamo invece respingere il nostro egoismo ed accettare l’universa bellezza che il semplice ululato del lupo può già ben rappresentare. Perché ciò che offende il senso delle cose, il senso della natura, offende in un sol colpo la totalità del tutto. Sento di voler amare la vita con la natura, perché la natura è amore e vita stessa. Per me ogni cosa che offenda la natura era inconcepibile e da questo punto di vista la mia netta tendenza è, o tutto bianco o tutto nero. La mia mente non concedeva alcuna sfumatura all’opera distruttrice del mondo naturale da parte dell’uomo.

Io mi ritrovo nella capanna nel cuore della taiga e scrivo queste righe, il racconto di ciò che ‘disse e non disse’ il lupo, il racconto dell’amore. E sento un canto, un canto di dolore, quando l’uomo per suo spontaneo volere toglie ed annienta ciò che crede non gli appartenga più. Canta il suo errore, il suo malefico errore, ed io provo a riconoscere il giusto, in armonia ed in pace. Ascolto poi il canto della natura e piango per la gioia che emana, ma piango anche per la mano che la offende. Oh uomo perché offendi tua madre? Io credo di capire il tuo gesto. Hai semplicemente perduto il senno della ragione e non hai più un’anima di universalità e di amore. Ed allora distruggi te stesso e le cose della natura che poi, alla fine, sono la medesima cosa.

Ma le parole sagge non sono ascoltate, non entrano minimamente nell’animo ormai indurito e nemmeno nelle membra. Non si ascolta, non si vede, non si sente. E’ non è cosa buona. Perché, o uomo, rifuggi la verità? Io me lo chiedo, lo domando e non ottengo mai risposta.

Nel mio trascorso, come ho già annunciato, ero anch’io cieco e sordo ed ero caduto nell’angoscia esistenziale e nella tristezza della vita. Ma lo spirito della foresta, lo spirito del Grande Nord mi hanno risvegliato, mi hanno fatto comprendere e mi hanno ridato la speranza dell’esistenza. Ho cominciato così ad allontanarmi dalle certezze non ‘certe’ della falsa vita quotidiana ed ho iniziato a prendere le distanze anche da quello strano malessere esistenziale. E piano piano, ascoltando anche l’ululato del lupo, ho ridato a me stesso ciò che mi apparteneva.

Quando finisce qualcosa non è importante ciò che finisce, ma quello che inizia. Tutte le cose sono unite, anche quando sono diverse. Sta alla propria saggezza capire quale strada seguire.

Il tempo sembra trascorrere lentamente, ma la taiga mi ha insegnato molte cose pratiche, e direi soprattutto quelle essenziali dello spirito. Il mio seguire a lungo la vita dei lupi mi ha confermato e nello stesso tempo svelato molte cose della loro arguta esistenza. Il branco è eccezionalmente compatto, netto, perfettamente adattato a sopravvivere in un ambiente che, soprattutto nel lungo inverno, è tutt’altro che facile. La dinamica dei suoi membri, estremamente attiva e multiforme, ispira moltissimo a resistere sempre nella vita, perché bisogna lottare fino in fondo. Non bisogna mai arrendersi e occorre penetrare, le incombenze della sopravvivenza, con lo stimolo della propria energia. Lo sguardo tagliente di un lupo o il suo vero, ma anche simbolico ululato, ci ricorda sempre che esiste ancora una natura indomita e selvaggia, anche se credo che noi non possiamo comprendere appieno tutti i messaggi, perché ci sono molte cose che non percepiamo poiché ci viene meno quello che i lupi non possono dirci direttamente! 

Ma comunque sia, noi non vogliamo più imparare, non vogliamo nemmeno ascoltare e non vogliamo ovviamente comprendere. Ora io mi chiedo: se non facciamo nulla di queste cose, chi reggerà il mondo? L’uomo vive continuamente a credito, ma sta finendo il suo fondo: la natura. Ci pensi bene prima di continuare………. 

WILDERNESS - SUL CONCETTO DEL VALORE IN SE' DELLA NATURA

                                    Wild Nahani                                    ____________ WILDERNESS Sul concetto del valore in sé del...